ANNIVERSARI
di Francesco Motto
A 130 anni dalla morte di di un
presunto profeta, Davide Lazzaretti fondatore della Chiesa giurisdavidica
DON
BOSCO e
l’eretico profeta del monte Amiata
Don Bosco, si sa, fu in relazione con
migliaia di persone, che vennero ad incontrarlo a Valdocco, o avvicinò nei suo
numerosissimi viaggi, o lo contattarono per via epistolare. Tra essi ci fu
anche la controversa figura di Davide Lazzaretti.
Innumerevoli i personaggi che poterono
incontrare Don Bosco: uomini di Chiesa: (papi, cardinali, vescovi,
sacerdoti, religiosi...) e uomini di potere (re, ministri, politici...),
uomini di cultura (Tommaseo, Pellico, Rosmini...) e uomini di umilissima
condizione; cattolici ma anche protestanti ed ebrei... insomma membri di un po’
tutte le classi sociali, di varia cultura e di diverse religioni, cui chiese
qualcosa (spesso aiuti economici per i suoi ragazzi poveri) e da cui venne
richiesto di qualcosa (accoglienza, preghiere, benedizione...). Fra quanti
avvicinarono il santo di Valdocco ci fu un certo Davide Lazzaretti,
l’eretico “profeta dell’Amiata”, di cui ricorre il 130 anniversario della
morte.
CARNEADE, CHI ERA COSTUI?
Era nato ad Arcidosso (Grosseto) alle
falde del Monte Amiata, nel 1834, da famiglia
contadina e per guadagnarsi il pane fece umili mestieri, fra cui il barrocciaio.
Ammalatosi di malaria, come molti maremmani allora, ebbe delle visioni. A 22
anni si sposò ma, dopo quattro anni, lasciò moglie e figli per entrare volontario
nelle file dell’esercito piemontese, che combatteva contro lo Stato Pontificio.
Congedato dopo la battaglia di Castelfidardo (settembre 1860), tornò alla
solita vita, e nel 1868 ebbe altre visioni.
Sul Monte
Labro
(1000 m sul massiccio dell'Amiata) gli apparve la Madonna.
Spinto dalle sue visioni, divenne molto devoto e iniziò una predicazione d’ispirazione
apocalittica e millenaristica, che suscitò l’attenzione di alcuni conterranei.
Cominciarono a seguirlo e lui fondò per loro un piccolo eremo sul Labro. Nel 1870, poco prima della Presa di Porta Pia, su invito di san Pietro, apparsogli in
visione, si recò a Roma dove sembra sia riuscito ad avvicinare il Papa, senza
potergli parlare. La sua predicazione agli occhi dei più appariva delirante;
non per nulla pur datosi a severe penitenze in una grotta di Montorio Romano,
in Sabina, fu espulso dalle autorità pontificie. Comunque fece proseliti in tutta la Toscana
e perfino in Francia, divenendo L'Unto
del Signore. Entrò allora di fatto in conflitto con le gerarchie della Chiesa cattolica, fino a disconoscere
l'autorità del Pontefice. Ma divenne inviso
anche alle autorità italiane e al clero locale, con il suo fondare alcune
cooperative monastico-sociali, confluite poi in una sorta di comunità religiosa
di mutuo soccorso, (la Giurisdavidica,) ispirata a un socialismomistico e utopistico. Il centro, invero
puramente simbolico, era sul predetto Monte Labro. Seguirono denunce,
probabilmente più per motivi economici che ideologici, per cui le autorità del
giovane Regno d’Italia si allarmarono e nel novembre 1873 lo arrestano nuovamente.
GLI INCONTRI A VALDOCCO
Forse proprio per fuggire a un prevedibile
arresto, nel maggio si era messo in viaggio per la Francia assieme a un figlio,
predestinato, secondo un’altra visione, a diventare generale di un esercito
salvatore del mondo (?). Fece tappa a Valdocco, ma Don Bosco era assente.
Benché non si sappia il motivo per cui gli fu concessa l’ospitalità per alcune
settimane, ebbe modo, come racconta la tradizione salesiana, di non far troppa
buona impressione, non fosse altro per il fatto che non faceva il segno della
croce prima e dopo i pasti che prendeva alla loro mensa. Tornato, Don Bosco
certamente indottrinato dai suoi “figli” gli concesse una brevissima udienza,
nella quale gli “contestò” le presunte rivelazioni perché prive di credibilità
(si certificava da se stesso), e perché il “profeta” non dava quei segni di religiosità
che il santo riteneva essenziali. Lo spassoso dialoghetto riportato dalle
Memorie Biografiche (MV IX, 1144-1145), probabile ricostruzione di don Lemoyne,
ne riporta la sostanza. Don Bosco non dovette considerarlo pericoloso, ma
semplicemente una persona generosa, un visionario altruista, dalla mente un po’
esaltata; e quando il Lazzaretti venne arrestato per vagabondaggio, truffa e
cospirazione politica, accuse che lasciavano presagire anni di carcere, Don
Bosco vergò uno scritto in sua difesa (cfr riquadro), poche righe che
opportunamente presentate in corte d’appello, soppressero la condanna comminata
in prima istanza. Con ogni probabilità l’avvocato difensore dovette produrre
anche altre testimonianze in favore del suo assistito, ma senza dubbio l’attestato
di stima di un personaggio come Don Bosco dovette avere il suo peso.
ANNI DI GRANDE NOTORIETÀ
Erano gli anni in cui il nome di Don Bosco
correva sulla stampa religiosa e laica non solo per le sue attività di
educatore, di fondatore di due congregazioni, di santo taumaturgo, ma anche per
l’azione mediatrice fra Stato e Chiesa nel difficili problemi del tempo: quelli
della nomina, condivisa, dei nuovi vescovi e dell’assegnazione delle cosiddette
“temporalità” a neopresuli da parte delle autorità civili. Dall’inizio di
giugno 1873 a Roma vi era un nuovo governo e Don Bosco si era messo subito in
relazione con il nuovo ministro di Grazia, Giustizia e Culto, Paolo Vigliani che,
dopo averlo incontrato personalmente più volte nel corso delle trattative con la Santa Sede, lo definì “ottimo sacerdote e buon cittadino”, di sentimenti “in tutto degni di
un virtuoso sacerdote e di un buon suddito”, e da politico attento al bene
comune, si augurava che “il cielo” lo conservasse “al bene della Chiesa ed
anche dello Stato”. Nei mesi in cui Lazzaretti stava in galera, Don Bosco a
Roma era in relazione con il ministro Vigliani e il card. Antonelli, e potrebbe
aver speso qualche parola in favore del carcerato! Sta di fatto che costui fu
liberato e nella primavera del 1875 passò di nuovo per Valdocco da don Bosco. Pochi
anni dopo tuttavia il visionarismo religioso di Lazzaretti gli diede alla
testa: egli giunse a proclamarsi “Cristo Duca e Giudice”, dichiarò decaduto il
papato, annunciò l’arrivo dell’era dello Spirito Santo e la fine dei papi con
la morte di Pio IX (febbraio 1878). Era troppo. Fu scomunicato – i suoi scritti
erano già stati messi all’Indice anche se aveva ritrattato le tesi in essi
contenute – ed entrò nuovamente nel mirino delle autorità civili. Il 18 agosto
1878, nel corso di una processione con i seguaci sul monte Amiata, scoppiò un immotivato
ma violento parapiglia con i carabiniere ed il Lazzaretti fu colpito a morte.
Folle pacifico o profeta inascoltato? Pazzo lucido o mistico pensatore? Visionario
socialista ante-litteram o uomo di Dio? Forse un po’ di tutto, anche se
all’epoca le autorità, in un evidente eccesso di zelo, lo giudicarono
semplicemente un pazzo pericoloso, tanto da mettere a disposizione parte del
suo cadavere al famoso criminologo Cesare Lombroso per i suoi studi. Don Bosco
invece, più caritatevole ed interessato al bene delle anime, ne aveva
semplicemente tessuto le lodi, magari solo per liberarlo dal carcere.
“Abbiano
inteso qualche sinistra voce sul conto del signor David Lazzaretti, che cioè
sia stato incarcerato. Se mai potesse giovare la mia parola in suo vantaggio
io sono disposto a pronunziarla di cuore, giacché avendo il piacere di
conoscerlo nella scorsa primavera, anzi avendogli dato ospitalità in questa mia
casa per alcune settimane, riconobbi una persona veramente dabbene, desiderosa
di far del bene al prossimo, non curante dei propri interessi, purché possa
giovare agli altri. Se avrà occasione di rivederlo, lo riverisca per parte mia,
lo conforti. (Torino,
28 dicembre 1873)