COME DON BOSCO - L’educatore
di Bruno Ferrero
NATURALMENTE
Bambini da balcone, ingabbiati in un centinaio di metri quadrati, seduti a far da
spettatori o a giocare con una macchina…
Per molti ragazzi gran parte della settimana trascorre in uno spazio che non è
uno spazio. Nessuno dovrebbe meravigliarsi se poi hanno la tendenza a
esplodere. Sta nascendo una generazione per la quale tutto è virtuale, anche le
molte vite guadagnate o perse alla playstation. Bambini che non
hanno mai sentito un vero canto di uccelli, che non hanno mai
attraversato un vero torrente… Quello che non hanno è uno spazio in
cui muoversi: nelle città contemporanee lo spazio è un elemento prezioso e
conteso. Non può essere “sprecato” per coloro che giocano o che vorrebbero
giocare. Lo spazio è il vero giocattolo, per il piacere fisico e psicologico
che se ne può trarre. Un ambito in cui i bambini possono muoversi come gli
pare, guardare, toccare, assaggiare.
L’intelligenza dimenticata
Queste attività, definite dagli specialisti come "giochi percettivo-motori",
servono al bambino per raccogliere informazioni e fare esperienze. Cioè
imparare. L'imparare a sua volta diventa poco a poco attitudine sempre più
spiccata alla conquista del mondo. Il ragazzino s’impadronisce dei
concetti di misura, forma, colore e peso, scopre come scorre il tempo, che
cos'è la distanza, afferra l'idea della velocità, si rende conto delle
posizioni delle cose e delle persone, capisce il significato dei numeri,
decifra i simboli visivi. Evidentemente, giocando nello spazio
l'organismo del ragazzo si allena e viene sempre meglio controllato dal
cervello, gli automatismi lasciano il campo ad azioni programmate e condotte
dalla volontà. In breve, il bambino impara a fare quello che vuole con una
precisione che va aumentando di continuo e sente ingigantire dentro di sé
il gusto dell'indipendenza e dell'autonomia, la sicurezza, la fiducia in
se stesso. Accumula esperienze e ne ricava nuove iniziative. Genitori,
insegnanti, responsabili civili devono favorire il contatto dei piccoli con
l’ambiente e lo spazio naturale. L'importante è che bambini e ragazzi
possano muoversi, impadronirsi del proprio corpo, giocando a palla,
rincorrendo le bolle di sapone, lanciando e raccogliendo oggetti, imitando gli
animali, impiegando anche mezzi dotati di ruote, arrampicandosi, saltando in
alto o in basso, valendosi di strumenti idonei a favorire il senso
dell'equilibrio, facendo flessioni sulle gambe e sulle braccia,
capriole, ecc. Inoltre, giocando con altri scambiano informazioni con i
compagni, apprendono parole nuove, manifestano accordo o disaccordo, litigano o
collaborano, intessono una rete di relazioni che si potrebbero anche chiamare
"sociali". Ma c’è qualcosa ancora più importante.
L’intelligenza ecologica
«La terra ha bisogno di noi e noi di lei» scrive Pina Tromellini. «In un
abbraccio stretto in cui le emozioni sono un tutt'uno con l'aria, l'acqua, gli
alberi, le nuvole: sentire gli odori, gli aliti delle brezze, come abbandonarsi
alle sensazioni forti che ci dona la natura. I bambini si immergono
nell'ambiente naturale con un approccio spontaneo, forse meno condizionati
di noi; in realtà questo è ormai vero solo in parte, perché il cemento delle
città, il traffico delle strade e la carenza di spazi verdi limita la
voglia di esprimersi liberamente. I grandi sono distratti e frettolosi
perché il tempo e le incombenze li portano lontano; anche se nella maturità si
ritorna a essere epidermici e la sensibilità, affinata dall'esperienza,
ricrea contatti e dialoghi con il cielo, l'aria, gli alberi. I danni provocati
alla natura dalle scelte sbagliate degli uomini costringono a molteplici
riflessioni: come si fa ad allenare l'intelligenza ecologica? Come si
costruisce un giusto rapporto tra individuo e ambiente, che è il contesto
vitale in cui ciascuno sperimenta e socializza?»
La capacità di contemplazione
L’ambiente naturale costituito dall'erba, dai fiori, dalle piante è il grande
spazio, il “grembo” che dona a ogni essere umano emozioni e sentimenti che
costituiscono l'originalità di ciascuno. Un tempo, non era banale l’espressione
“Madre Natura”. Lasciato libero in un prato, il bambino tocca, assaggia,
manipola con il gusto della scoperta. Salta nella pozzanghera per osservare gli
spruzzi e le onde che si scontrano tra loro. Apre la bocca per inghiottire il
vento. Si attacca agli alberi, si sdraia sull’erba... Scopre una dimensione che
fa parte della sua umanità. I ragazzi che abitano le città rischiano di
smarrire questo tipo d’intelligenza. I bambini e i ragazzi hanno bisogno
della natura per crescere con il rispetto per la grande vita che pulsa
nell’Universo e non con il “complesso dell’ingegnere”. Hanno bisogno dei grandi
spazi per assaporare il silenzio, elemento sconosciuto per chi vive
perennemente con l’auricolare dell’i-pod nelle orecchie. L’apprezzamento
per le bellezze della natura educa i bambini a una visione esistenziale
armoniosa e pacifica. Hanno bisogno di genitori e dei nonni che insegnino loro
a contemplare, a seminare, attendere e raccogliere, a costruire case sugli
alberi, a correre sulla spiaggia, nuotare, conquistare una vetta e orientarsi
con le stelle. Le vacanze servono soprattutto per questo, per ritrovare
il cielo, la terra, il mare, le stelle, un’idea di infinito e l’intelligenza
perduta.
COME DON BOSCO - il genitore
di Marianna Pacucci
ESSERE TERRA ESSERE CIELO
Vivo da sempre in città e quindi i miei figli sono nati e cresciuti in questo
ambiente per tanti versi artificiale.
Come tutte le mamme, ho cercato di risarcirli con la cura delle piantine
aromatiche e dei gerani sul balcone; l’ospitalità a coccinelle, lumache,
passeri e gatti di passaggio nel giardino di casa; qualche passeggiata al
parco; le gite nei boschi o al mare; le vacanze all’aria aperta. Credo che
tutti i genitori cerchino, quando possono, di ricreare per i loro bambini un
contatto con la natura e di educarli a una sana mentalità ecologica. Ma so
anche che non sono solo queste le scommesse che una famiglia deve vincere con i
ragazzi. La posta in gioco è molto più impegnativa: aiutarli a costruire una
cosmologia che consenta loro non solo di abitare la terra e rispettare
l’ambiente, ma di poter percepire il loro essere stati, in un tempo originario,
impastati di terra, oltre che animati dallo Spirito di Dio e, soprattutto, di
essere stati progettati per assaporare, già su questa terra e in questa vita,
il gusto di una felicità vera.
Essere terra: occorre che noi adulti ricordiamo ai più
giovani l’esigenza di essere più concreti e di radicarsi in uno spazio e
in un tempo delimitati, che possono condizionare l’esistenza ma anche offrire
preziose opportunità per realizzarsi e per realizzare il proprio compito
esistenziale; di avere una consapevolezza gioiosa della materialità e una
considerazione serena della piccolezza della singola persona rispetto alla
grandezza del pianeta; di poter sperimentare la fertilità che consente a ogni
essere vivente di vivere una scintilla anche microscopica della capacità
creativa di Dio; di gustare come questa immensità non è affatto né casuale né
caotica, ma ha un senso e una logica che occorre cercare tutti i giorni.
Essere terra: c’è in gioco la comprensione di come il macrocosmo ambientale e il
microcosmo della propria anima sono posti in una misteriosa ma concreta
relazione, che dà armonia alla natura e alle persone; la convinzione che
l’ecologia riguarda allo stesso tempo l’habitat naturale, la comunità sociale,
il cuore e la mente dei singoli. La comune origine e appartenenza dice che la
salvezza è un evento corale, che il futuro è nelle mani, allo stesso tempo, di
ciascuno e di tutti.
Se la storia della terra è, in fondo, fatta di positività e non solo di
negatività, è proprio perché la gente ha accettato di collaborare per
raggiungere obiettivi comuni; perché ha letto nell’interdipendenza e nella
complessità una risorsa e non un problema; perché non ha avuto paura di sfidare
le dimensioni del tempo e dello spazio per condividere e trasmettere la
ricchezza etica che il genere umano ha pazientemente accumulato nel corso della
sua esperienza. Quando invece ci si è chiesti: “Chi me lo fa fare?”, la terra è
diventata più angusta e meno vivibile, un deserto affollato di fantasmi
divorati dalla sensazione di aver ritrovato l’inferno, mentre cercavano
tutt’altro. Proprio perché le generazioni adulte cercano tuttora di
sopravvivere a questa tragedia, è giusto risparmiarla ai giovani: lo si può
fare partendo dalla capacità di innaffiare ogni giorno la piantina di basilico
sul balcone o fasciando la zampetta di un micio maldestro; ma quel che conta è
non fermarsi qui: l’universo (o meglio il “pluriverso” come oggi viene definito
il nostro mondo) è, in fondo, un’immagine incompiuta che rimanda a
qualcos’altro.
Se la cultura attuale spesso suggerisce che Dio è un grande vecchio che
gioca a dadi con il mondo per contrastare la noia che deriva dall’eternità, mi
piace insegnare ai miei figli che Egli è il Padre che ha costruito con la forza
della parola un mondo in cui l’uomo e la donna potessero davvero sperimentarsi
come sua immagine e somiglianza, assumendo la responsabilità di proteggere e
migliorare la qualità della vita di tutti, di una farfalla come di un elefante,
di un filo d’erba come di una quercia, di un fossile come di un bosco, delle
persone e delle loro differenze.
Per fare tutto questo, però, non basta osservare con attenzione tutto quel che
vive intorno a noi; occorre anche alzare lo sguardo verso l’alto. Contemplare
di notte il cielo stellato: è un’esperienza doverosa perché l’essere terra e il
vivere sulla terra non significhino restare intrappolati in confini angusti, ma
poter cercare con gli occhi, nelle dolci sere d’estate ma anche nei primi
albori di fine inverno, la linea di orizzonte che congiunge l’oggi e il sempre,
l’io e il noi, la creazione e il suo Creatore.