CASA/FAMIGLIA
di Angelo Durante
RICCO NORDEST POVERI RAGAZZI
Chi ha detto che dove c’è ricchezza c’è felicita? Chi ha detto che dove si sta
bene non esistono problemi? Chi ha detto che dove tutto è organizzato tutto
fila liscio? A Udine si è sentito il bisogno di una struttura per i giovani in
difficoltà. E i salesiani si sono attivati…
Abbiamo
solo 13 anni, e se il 13 è un numero fortunato, siamo a cavallo. Tredici anni
fa, dunque, nasceva la casa/famiglia “Domenico Savio” per i giovani del
fortunato (?) Nordest, per quelli che di fortuna ne hanno avuta poca, quelli
che potremmo definire sfortunati nella fortuna. Rovistando nell’archivio
si contano 72 schede di ex, più gli attuali 9 terremoti della Casa Domenico
Savio e i 5 sbarbatelli della Michele Magone di recente
apertura: Sono una novantina di storie difficili, con risvolti talvolta
drammatici, di poveri orfani della nostra società postindustriale nel
ricco Nordest. Sono ragazzi meno fortunati, svantaggiati dal punto di vista
sociale, profondamente segnati nella crescita affettiva, deprivati spesso del
diritto naturale di essere felici e spensierati come i loro coetanei. E’ della
vita di questi ragazzi “poveri e pericolanti”, come li definiva Don
Bosco, per certi versi adulti prematuri, che abbiamo contribuito a scrivere un
capitolo importante.
IL METODO
Nel lavoro di ogni giorno gli operatori dei due centri – e se ne attende un
terzo – sono investiti dalla grave responsabilità di guidare tutti i piccoli o
grandi interventi educativi, a entrare in punta di piedi, con il massimo
rispetto, con amore esigente e paziente, senza prepotenza nella vita di una
tenera pianticella, per sostenerla e accompagnarla, per offrirle il calore
umano indispensabile alla crescita che non di rado manca o è disordinato.
L’obiettivo è unico: aiutare i ragazzi a crescere sani e robusti “dentro”,
offrire degli strumenti perché possano un giorno affrontare da soli la loro
strada come da veri protagonisti. Quando si è tentati dallo scoraggiamento per
la scarsa risposta, supplisce l’incorreggibile ottimismo verso il mondo
giovanile che si respirava a Valdocco: ”Non ho mai conosciuto un giovane che non
avesse in sé un punto accessibile al bene, facendo leva sul quale ho ottenuto
molto di più di quanto desideravo”. Parole di un profondo
conoscitore dei giovani, Don Bosco.Ogni tanto qualcuno ritorna, per rivedere la
sua casa, ricordare anni difficili, per dire che è cambiato e raccontare del
lavoro, confidare progetti, lasciando intendere che qualcosa ha imparato da
noi, che non abbiamo sprecato tempo e fatica, che abbiamo ben giocato la carta
della fiducia! La comunità è come una grande famiglia: ragazzi, educatori,
volontari, famiglie d’appoggio, amici... Succede pure che Norma, una nonnina
sola, scelga di festeggiare i suoi 80 anni attorniata dai ragazzi, almeno per
una volta educati e rispettosi. Il dono più gradito per certi anziani
benefattori e amici che non escono più di casa è la visita dei nostri cari
discoli che fanno loro dimenticare per un momento gli acciacchi.!
LA NASCITA
A fine settembre 2004, abbiamo festeggiammo il nostro 10° compleanno nella più
genuina tradizione salesiana: una festa di famiglia, condivisa con numerosi
amici e collaboratori, e tanta gioia. È stata un’occasione per sensibilizzarci
sulla condizione dei ragazzi in difficoltà, fare il punto, programmare il
futuro: una seconda casa, grande e spaziosa per poter aiutare altri ragazzi,
perché ci piange il cuore ogni volta che non possiamo accogliere i loro appelli
per mancanza di spazio. Tredici anni, un’età in cui si crede molto ai sogni; se
ne ha tutto il diritto! I nostri sono accompagnati dai progetti
dell’architetto, dall’attenzione delle autorità, dal sostegno generoso di
benefattori e amici. Vogliamo sperare che i nostri, come quelli di Don Bosco,
non siano solo sogni o che non rimangano tali per molto tempo, perché abbiamo
fretta di crescere. Ma Don Bosco tutto questo già lo sa.
Ritorniamo agli inizi per dare ragione della nostra scelta. Alla fine degli anni
Ottanta, dopo una lunga riflessione sul significato della presenza salesiana a
Udine, abbiamo individuato come urgenza la necessità di realizzare qualcosa per
i meno fortunati: “Ero persuaso che per molti ragazzi ogni aiuto era inutile se
non gli si dava una casa”, scriveva Don Bosco nelle sue Memorie.
Così l’idea di una casa per i preadolescenti in difficoltà prese forma e si
fece progetto: accompagnare i ragazzi nel delicato lavoro di costruire e
consolidare la propria identità, portandoli ad accettare se stessi, a
migliorare i rapporti con la famiglia, a vivere relazioni più serene con
l’ambiente, ad assumere con gradualità valori e orientamenti che li aiutino a
diventare buoni cristiani e onesti cittadini, convinti che la chiave
stia nel coniugare armoniosamente “ragione, religione e amorevolezza”,
secondo il metodo preventivo del nostro santo. Senza sostituire o porsi in
concorrenza con la famiglia in difficoltà, ma in piena e leale collaborazione,
e solidale sostegno.
MIRACOLI CON NOME E COGNOME
Si comincia come si può. C’è all’istituto Bearzi un appartamento poco
utilizzato: ospitava la comunità delle suore che gestivano cucina e lavanderia.
Con pazienza e in economia, si sistemano le camere con letti a castello per
otto posti. Il personale? Un salesiano e un obiettore. Il primo ragazzo, orfano
di padre e con la madre in difficoltà, arriva che la struttura non è ancora
pronta. Ci si arrangia facendo di necessità virtù. Comincia il lavoro: si
ascolta tanto, si cerca di capire senza giudicare. Quando arrivano due
volontarie la comunità acquista una sua fisionomia educativa… Dopo breve tempo
non si riesce più a far fronte alle richieste, e progettiamo di allargarci.
Mentre l’architetto stende il progetto, bussiamo a tutte le porte. In Comune
l’assessore c’incoraggia e ci aiuta, stanziando un congruo contributo con cui
iniziamo i lavori. La signora Nice offre un’ingente somma e dopo alcune
settimane mi chiama perché – dice – non è contenta. Perché mai? Ci vado con un
certo timore. Appena mi vede, porge una busta: “Voglio fare cifra tonda. Che
nessuno sappia!”. Passano due mesi, e arriva da un paesino di montagna la
telefonata della signorina Iva, anziana maestra in pensione, che nessuno
conosce, ma da sempre innamorata di Don Bosco. Offre un investimento di decine
di milioni, frutto dei suoi risparmi, giusto per ordinare i serramenti. La casa
è pagata. Mancano solo le suppellettili, dalla cucina alle camere. La
provvidenza questa volta si chiama Giuseppe, un distinto signore che ha
per le mani una somma considerevole destinata a un orfanotrofio. Ha già girato
il Friuli senza risultato. Capita al Bearzi, visita la nostra costruzione ormai
quasi pronta, s’informa, guarda, riflette esamina e: ”È quello che cerco!”.
Così ci togliamo anche il pensiero dell’arredo. Poi ci sono Matteo, Elena,
Pierre, Filippo, Lia, Luigino, Mira, Cristian,
l’alpino dall’Australia, l’exallievo del Canada, quello di Gemona… e tanti
altri anonimi; tutti partono dalla stima per Don Bosco e portano “ai suoi
ragazzi” un investimento per il domani della nostra società. A noi rimane
l’incombenza di credere nel valore del compito educativo, convinti che ci sarà
quel “pane, lavoro e paradiso” che Don Bosco ha promesso in abbondanza a
salesiani e collaboratori.